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lunedì 12 novembre 2012

Non posso.

Si fa sentire, per sapere come sto, come va a lavoro. Dopo che è stato sfuggente per circa una settimana, torna per farmi sapere che gli piacerebbe venire ad Artissima, ma non ha tempo. Mi sembra sempre più strano, dio se lo è. Non lo capisco per niente.

Insomma faccio l' esplicita, perché in queste cose non amo le ambiguità. A un suo giro di parole un po' indeciso gli pongo la domanda. Vuoi che ci vediamo?
Mi risponde con un' altra domanda. Già molto seccata, glielo faccio notare; poi mi spiega che aveva già organizzato di vedersi con dei compagni di corso. E qui mi stizzisco, perché poteva dirmi subito di no, senza bisogno di girarci attorno e darmi tante spiegazioni non richieste, e comunque senza rispondere davvero alla domanda. Eppure era una domanda era semplice. O no?

Ma di tutto questo mio stizzimento personale non trapela nulla nel messaggio, perché gli rispondo col sorriso.
Il bello della comunicazione digitale: far sembrare che stai tirando una battuta quando invece lo vorresti prendere a randellate. E non contento, infierisce aggiungendo che magari c'è per sabato o domenica. Magari? Ancora randellate immaginarie. Ma chi te l' ha chiesto.

Sparisco. A sto punto devo darmi un tono e mi dico basta fare mosse.
Così il giorno seguente, eccolo che mi scrive. Per quel progetto, (le foto che abbiamo fatto una settimana prima insieme ai suoi amici), mi dice che possiamo lavorarci l' indomani, domenica per l' appunto.
Ma ecco che inaspettatamente mi sorprende e si lancia proponendomi di andare prima ad Artissima assieme, "ho appena deciso che voglio fare un salto", e poi di lavorare alle foto, mi precisa i suoi programmi e aggiunge un "the con latte e biscotti" e un "perfetto" per concludere il messaggio.

Ed io, che ho fatto? Ho storto un po' il naso fingendo che dovevo organizzarmi, ma che alla fine andava bene e mi sono dileguata di nuovo. Ormai mi sento costretta dal mio amor proprio.
Ci si vede all' appuntamento di domenica, mi aspettava sotto alla fermata della metro Paradiso, ma non mi vede mentre arrivo con il treno, così scendo e faccio le corse verso di lui facendogli cenno di salire e al pelo ce la facciamo. Arriviamo alla fiera ma succede che dopo poco, arrivati alla sezione Musei in Mostra, il bambino dei caratteri tipografici che c'è in lui esce fuori e non capisce più nulla. Il laboratorio della Fondazione Merz infatti era così fantastico che ha attirato un sacco di bambini e ragazzi. Ci si poteva sbizzarrire a fare un proprio manifesto originale usando tra i più disparati caratteri tipografici da stampa. Molto simpatico, era bello anche il manifesto che avevo fatto io due giorni prima ma me l' hanno rubato...(che rabbia).

Nel frattempo che lui faceva il suo manifesto, io ho dato il cambio alla mia collega che voleva fare una pausa e ho rivisto le persone con cui ho lavorato in Gam, compresa la mia compagna a cui ho dato il gancio per fare lo stage lì. E' stato un pomeriggio simpatico. Il bambino dei caratteri finisce per farne due di manifesti ma dal momento che si era fatto tardi, decide che era ora di andare via, che bisognava tornare a finire i lavori che anche lui ha delle cose da finire al computer, e ce ne andiamo senza che lui veda effettivamente molto della fiera. Ma che tipo, penso.

Insomma andiamo da lui che come aveva preannunciato lavora alle foto e io preparo il the coi biscotti. Voleva le mie indicazioni e dopo varie smanettature riusciamo a definire una foto, molto bella devo dire. Non per il soggetto magari, visto che sono io il soggetto. Decide di far pausa e si accoccola accanto a me sul divano. Di nuovo quel contatto particolare. Stavolta sento il suo respiro/battito irregolare, che mi spiazza ancora più di prima. Sei solo timido? Si fanno le 10 e non abbiamo ancora cenato, ma si fa sentire la coppia dei suoi amici, che da quanto ho capito sono sempre ben propensi a pensare loro a portare la cena, così ceniamo tutti assieme come quella volta delle foto. Stranissima sensazione.

Non si sa come sia accaduto, ma alla fine della nottata succede che rimaniamo tutti e quattro a dormire in quella casa. Forse avrei potuto chiedergli di riaccompagnarmi a casa prima che si facesse così tardi, avrei dovuto, sicuramente. Ma non volevo. E così, forse aiutati dall' oscurità, è successo che finalmente l'ho capito. Ma non ho potuto comunque. Gli ho detto "non posso", anche se avrei voluto. E lui non mi ha chiesto perché. Ma non mi pento.

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