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giovedì 30 gennaio 2014

Anno sabbatico

Conclusa ufficialmente la carriera di studentessa all'Accademia di Belle Arti nel marzo 2013, ho puntato tutte le mie energie su quello che si prospettava il migliore lavoro della mia vita.

Finalmente mi sentivo realizzata. Lavoravo alla Pinacoteca Agnelli di Torino come educatore alla collezione di Giovanni e Marella Agnelli, per l'appunto. 

Il lavoro consisteva in quello che avevo già avuto modo di fare l'anno precedente, con due stage nei dipartimenti educativi di Gam e Fondazione Sandretto. Accoglievo le classi di bambini provenienti da scuole dai 5 ai 11 anni, le portavo in visita alla collezione e poi in laboratorio. Occasionalmente mi preoccupavo di gestire il materiale, gli spazi, di studiare le mostre temporanee e quindi di provare i nuovi laboratori connessi. Era tutto molto stimolante, e questa volta remunerato.

La beffa è arrivata presto, e con essa una frustante e amara delusione.

Il contratto che mi era stato offerto non era altro che la proposta di aprirmi una partita iva e collaborare come "consulente". Per il numero di ore che avrei potuto fare, tra le 16 e le 18 in una settimana, e dopo una consulenza con un commercialista, ho deciso di rifiutare e comunicarlo alla responsabile.

Di conseguenza ho continuato a lavorare "a chiamata". Lo stesso tipo di  "contratto" era stato proposto anche a un altro ragazzo, che avevo avuto modo di conoscere anni addietro in Accademia. Mi fa ridere che pur non avendo alcuna esperienza in questo campo, era stato preso anche lui nel gruppo di nuovi "operatori" della Pinacoteca, insieme ad altre persone che invece avevano fatto questo lavoro o qualcosa di simile che aveva a che fare con i bambini.

La cosa che mi aveva fatto venire ulteriori dubbi era che inoltre questo ragazzo non amava i bambini ed era lui stesso a dirlo, e non si sforzava neanche di nasconderlo quando era a lavoro. Io e lui avremmo dovuto essere a pari merito quelli che avrebbero lavorato di più. In seguito alla proposta del contratto, ci era stato detto a entrambi di cercarci un commercialista, e io mi ero offerta di prenotare anche per lui in uno di quei centri del comune che prestano consulenze gratuite per giovani imprenditori.

Superfluo dirlo ma ci tengo a precisare che ho dovuto aspettare tal data per prenotare via internet, e a tal orario essere attaccata al computer per prenotare, al fine di non arrivare tardi e dover aspettare un altro mese per poter riprenotare. Comunque sia mi sono interessata di prendere appuntamento anche per lui all'ora più vicina alla mia. Questo perché si era trasferito da poco e da bohemien dei miei stivali non aveva una connessione internet (e non intendeva farla!). Mi sono anche informata e documentata a proposito di partita iva per conto mio, per essere preparata al colloquio con il commercialista.

E così è stato. Ci siamo presentati insieme e sorprendendo anche il commercialista stesso, sono riuscita ad avere un colloquio in cui ero perfettamente consapevole di tutto quello che avrebbe comportato, quindi per me quello era stato solo una conferma di ciò che sapevo già.

Il mio collega, invece, era come se si fosse fumato una canna prima di entrare. Completamente rincoglionito, senza aver la più pallida idea di cosa si fosse detto. Abbiamo dovuto faticare per semplificare le frasi e spiegargliele affinché capisse. Ma ricordo che anche dopo il colloquio, era stato come aver parlato al vento.

Dopo questo evento, mi sono mossa per comunicare la mia decisione alla nostra responsabile. Da quel momento è cambiato radicalmente qualcosa nel nostro piano ore settimanali. Ho cominciato ad avere meno laboratori. E cosa più che logica, ha cominciato ad averne di più lui. "Avrà accettato di aprirsi la partita iva" pensavo.

Solo dopo qualche mese, ho trovato il pretesto di chiederglielo e lì ho capito quanto ero stata come si suol dire presa per il culo. Era aprile, e il mio collega non aveva aperto alcuna partita iva. Non aveva neanche parlato a riguardo. Semplicemente non aveva detto niente e continuava a lavorare come se niente era stato mai detto. E come mai lavorava più di me? Mistero.

La frustrazione e la delusione cominciavano a farsi sentire. Che ingiustizia. Non volevo neanche andare a far polemiche dalla responsabile. Semplicemente avevo capito che essere schietti e onesti non sempre aiuta.

Ho fatto anche fin troppo. Anche quando ho deciso di prendermi a carico un laboratorio di ragazzi disabili al lunedì, in una cooperativa dove lavora una mia amica, sono stata così onesta da chiedere se fosse stato un problema impegnarmi in un altro lavoro dal momento che non mi era stato assicurato alcun monte ore settimanale. La risposta era stata ovviamente non è un problema, perché dovevo sapere che ormai al giorno d'oggi è impensabile avere un solo posto di lavoro e mi era stato fatto notare che molte mie colleghe ne avevano addirittura tre. Tutto questo come se fosse una cosa normale. Per me non lo era.

Verso aprile quindi, mi era balenata l'idea di cercare qualcosa per l'estate, dal momento che sapevamo tutti che una volta chiuse le scuole per le vacanze estive, non avremmo visto più un solo turno per almeno 3 mesi. Eccetto la stagista, che dal giorno alla notte avevamo visto diventare dapprima una nostra collega, poi bensì la nostra supervisor... con lo sgomento di tutti noi poveri tapini, che avevamo sicuramente qualche esperienza in più della carta stampata di un master al Castello di Rivoli - che da fonti amiche ci è stato detto ha insegnato poco e niente.

Così ho pensato, una cosa che avrei sempre voluto è imparare l'inglese, perché non andare 3 mesi a Londra a fare la ragazza alla pari? Mi occorrevano delle referenze, e perché non chiederle alla mia responsabile che sembra apprezzare il mio lavoro? Ebbene sono state molto apprezzate e utili, assieme a quelle che mi ha fatto un'amica, al fine di trovare una famiglia disposta a prendermi nonostante il mio inglese super elementare.

Mi sono rimboccata le maniche e ho ricominciato a studiare inglese. Ricordo di aver impostato cellulare e tutti i browser di tutti i siti in inglese, così, per abituarmi. Le chattate con gli amici in inglese. E le uscite, fingendosi inglesi. E' stato fantastico, mi sono divertita un sacco. Ho anche maledetto la mia incapacità di intrattenere una conversazione e di capire l'interlocutore su skype, durante le interviews. Ma non ho ceduto e alla fine sono riuscita a poter scegliere tra diverse famiglie che mi volevano. Ricordo che prima di ciò ho spammato una notte intera la mia application sul sito di ragazze alla pari nel mondo. E' stata dura, ma ce l'ho fatta e devo tutto solo alla mia caparbietà!

Era l'11 giugno 2013 quando, concluso l'ultimo incontro di conferma via skype, mi apprestavo a fare un biglietto quasi last-minute, per la settimana seguente. E il 17 giugno, il giorno dopo il compleanno di mio padre, ho lasciato l'Italia.

Il perché sono ancora qui e non sono rimasta solo 3 mesi è molto semplice. Mi sono innamorata di questa città! Ma l'intenzione di andare via per più tempo, forse per sempre, era già nell'aria. Aspettava solo di concretizzarsi con l'opportunità di trovare qualcosa qui. E qual miglior modo di imparare l'inglese facendo quello che più mi piace?

La babysitter mantenuta, zero spese, paghetta settimanale e zero pensieri. Sembra la reclam di una banca.
Eppure è così. Ho un professore privato da cui vado una volta a settimana e sta aiutandomi a prepararmi per il first certificate. In meno di 6 mesi sono riuscita a passare dal livello pre-intermedio a livello intermedio superiore! E per un anno ho deciso che questa è la mia vita. Un anno sabbatico, ecco.

3 commenti:

  1. La realtà è davvero questa dunque. Ci costringono a lasciare la nostra patria. La nostra povera Italia, la nostra casa non avrà nient'altro che odio e disprezzo per colpa di certi "criminali" che sono al potere. Che tristezza!
    La tua caparbietà e la forte volontà di andare avanti senza farti mettere i bastoni tra le ruote da chicchessia è davvero ammirevole. Lavorare con passione e divertirsi per ciò che si fa è la formula giusta per vivere felici, continua così e... un grandissimo in bocca al lupo.

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  2. Grazie mille carissimo!
    Certo è che andare via e lasciare la mia famiglia mi è pesato tanto. Non ti dico ogni volta che torno in Italia per qualche breve soggiorno e devo ripartire, quante lacrime verso a dirotto fino ad avere gli occhi gonfi i giorni a seguire. Mi spiace per le persone che ogni giorno cercano di arrivare a fine mese, per non parlare dei tantissimi disoccupati, giovani, che sono a casa tra immensa frustrazione e la crescente depressione che comporta la situazione di non sapere come fare. è veramente brutto, non c è niente da fare. E io ero una di quelle che dicevano "io la mia città non la lascerò mai". Mi è bastato guardarmi attorno per cambiare idea e vedere che esiste davvero di meglio. La vita è migliore qua. Non dico che è perfetta, ma non si sclera come da noi. A far la babysitter almeno ho un fisso tutti i mesi. Cosa che era impossibile stando in Italia e avendo una laurea tra le mani. Mi piange il cuore per tutti i miei amici e mia sorella, i quali hanno la disperazione come futuro. Il piu delle volte non ci voglio pensare al futuro perché fa male. Il nostro Bel Paese ..

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    1. Dai cerca di stare sempre su, la tua famiglia sarà felice di saperti felice a tua volta, quindi sorridi alla vita.
      Ciao.

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